Spazi Minimi

di lunamareterra

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Quando arrivi al paese lo vedi così, e pensi o sei un uccello poggiato alla ringhiera da cui lo stai guardando, o sei morto, e non per quella vecchia storia della bellezza che sempre accompagna questi luoghi, ma perché sei come una anima persa, un’ombra che volteggia lo sguardo su quel vuoto inaspettato.
Il paese lo vedi così, dall’alto, ma non tanto in alto, e te ne accorgi dopo quando metti ben a fuoco la piazza, la chiesa, le case, le finestre, le scale che paiono iniziare soltanto, pochi gradini che conducono a spazi presupposti che sfuggono ad ogni logica architettonica, e capisci che il paese non è così lontano come sembra percependo le sue dimensioni da quell’ altezza.
Il paese è lì dabbasso, ma è piccolo anche dopo che hai imboccato la stretta e ripida scalinata e hai attraversato l’imponente arco e ad un tratto in quella piazza, fra quelle case ti ci ritrovi nel mezzo. Il paese tutto sembra venirti incontro, in una fuga prospettica di cui tu sei il centro, ovunque tu ti muova.
Atrani è così, un paese dagli spazi minimi, dove ogni vita possibile se ne sta compressa, angusta, ridotta all’essenziale, che ci vai a fare in un posto così? eppure fra questi suoi vuoti aerei continui a sentirti, in qualche modo, sollevare: dall’abbuffata di parole a cui ti costringi ogni giorno, dalla leziosità con cui esse dividono il Bene e il Male, dal Monumento che producono di se stesse per sfuggire al tempo, e ridimensioni così quello che credevi l’intricato labirinto del tuo essere, riproporzioni quello che all’improvviso ti si mostra così com’è: il frutto di un’economia dell’anima dove tutto si affastella come in una polverosa soffitta, senza soluzione, e solo perché non può fare diversamente, come ti insegna l’intimità dei panni stesi laddove il sole prorompe dal buio degli archi, che ci vai a fare in un paese così? dovresti andarci solo per questo, per imparare l’equilibrio precario con cui vai costruendo i tuoi ricordi, ci vai per imparare dalla finestra furbetta, che vedi farsi spazio nella verticalità dei muri, l’imperfezione delle storie , e dietro la quale passano vite indicibili tanto sono piccole e qualsiasi come lo è la tua, cose che esistono o che fra oscurità e luce cercano di resistere per quello che sono, e forse per questo che riesci anche ad immaginarle vere.